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Attività > Amministrazione di sostegno

Dieci domande sulla
amministrazione di sostegno

A che cosa serve?
L’amministrazione di sostegno serve per tutelare, con la minor limitazione possibile della capacità di agire, le persone che, per una infermità od una menomazione fisica o psichica, totale o parziale, temporanea o permanente, non sono in grado di far fronte alle esigenze della vita quotidiana.

Chi ne può usufruire?
Possono giovarsi dell’amministrazione di sostegno le persone affette da patologie neurologiche (traumi cranici e midollari, ictus cerebrali, malattia di Alzheimer, malattia di Parkinson, epilessia, cefalea, malattie infettive cerebrali, tumori cerebrali, ecc.), o da patologie psichiatriche (disturbi d’ansia, dell’umore o della personalità, schizofrenia, ecc.), gli anziani con un particolare decadimento fisico o cognitivo, le persone affette da sindrome di Down, ecc.

Che cosa comporta?
La persona che viene ammessa a godere dei benefici dell’amministrazione di sostegno, è aiutata a far fronte alle sue necessità da un amministratore di sostegno che può affiancare il beneficiario, se questi mantiene una certa capacità di intendere e di volere, quindi consigliandolo nelle varie necessità, o rappresentare il beneficiario, se questi ha perso la capacità di intendere o di volere, sostituendosi ad esso.

Cosa può fare l’amministratore di sostegno?
L’amministratore di sostegno può fare solo quelle attività che gli sono espressamente attribuite nel decreto del Tribunale che gli conferisce l’incarico.
Ad esempio, se viene chiesta e concessa l’amministrazione di sostegno solo per prestare il consenso informato per un malato di Alzheimer che deve essere sottoposto ad un particolare intervento medico, l’amministratore può solo prestare (o rifiutare di prestare) il consenso informato per quel determinato intervento medico.
Se l’amministrazione di sostegno viene chiesta e concessa per gestire il patrimonio immobiliare del beneficiario, l’amministratore di sostegno dovrà, ad esempio, affittare la casa al mare, o far ristrutturare la casa di abitazione del beneficiario, ma non altro.
Se l’amministrazione di sostegno viene chiesta e concessa per gestire il patrimonio mobiliare del beneficiario, per incassare la pensione di questi, per reinvestire gli eventuali titoli presenti nel suo patrimonio, l’amministratore dovrà, appunto, incassare la pensione, pagando ad esempio la badante, le bollette di casa, la spesa, il vestiario per il beneficiario, ed alla loro scadenza dovrà reinvestire i titoli presenti nel portafoglio del beneficiario.
Tutto dipende, in sostanza, dalle necessità di ogni singola persona e dai poteri attribuiti all’amministratore di sostegno nel provvedimento del Tribunale che lo nomina.
I diritti che non sono espressamente attribuiti all’amministratore di sostegno, continuano ad essere liberamente esercitati dal beneficiario, che li conserva.
Solitamente, nel caso in cui il beneficiario sia malato di Alzheimer, il Giudice Tutelare attribuisce all’amministratore di sostegno il potere di gestire il patrimonio mobiliare del beneficiario, riscuotendone la pensione, utilizzando le entrate per le necessità della vita quotidiana (vitto / vestiario / assistenza); il potere di presentare domanda agli enti competenti per l’erogazione di sussidi (pensione di invalidità) o per la fornitura di ausilii; il potere di curare gli adempimenti fiscali (denuncia dei redditi / IMU).
Nel caso in cui l’amministratore di sostegno debba far fronte ad attività di particolare importanza (come ad esempio vendere od acquistare un immobile / chiedere un mutuo / reinvestire titoli), occorre una speciale autorizzazione da parte del Giudice Tutelare.

Come si ottiene l’amministrazione di sostegno?
Occorre che la persona con disabilità, o i suoi parenti, presentino una domanda al giudice tutelare del tribunale del luogo ove il beneficiario ha la propria residenza o il proprio domicilio.
La domanda deve indicare le generalità del beneficiario, di chi presenta la domanda se persona diversa da questi, e dei prossimi parenti entro il quarto grado; deve inoltre indicare per quali motivi si richiede l’amministrazione di sostegno, specificando quali sono le difficoltà del beneficiario per cui dovrebbe essere affiancato o rappresentato da un amministratore di sostegno. Non occorre una perizia medico-legale; non occorre un certificato di invalidità; è comunque consigliabile allegare alla domanda la documentazione comprovante le necessità del beneficiario, il suo stato psico-fisico; anche un certificato medico rilasciato dal medico di base curante è sufficiente.
La domanda può essere presentata senza l’aiuto di un avvocato; sarà eventualmente il giudice tutelare ad evidenziare la necessità o l’opportunità di essere assistiti da un legale.
Scritta la domanda senza particolari formalità, la si deve depositare presso la Cancelleria dell’Ufficio Giurisdizione Volontaria del tribunale competente.
La Cancelleria comunica la data dell’udienza a cui il beneficiario ed il ricorrente dovranno comparire avanti al giudice tutelare (se il beneficiario non è trasportabile e quindi non può recarsi in tribunale, lo si evidenzia nella domanda e si allega un certificato medico di intrasportabilità; sarà allora il Giudice Tutelare a recarsi dal disabile per sentirlo, a casa o presso la struttura ove è ricoverato).
Avvisati i parenti dell’udienza, notificandogli copia della domanda e del provvedimento del tribunale che fissa la data dell’udienza, si compare quindi a questa udienza in cui il giudice parla col beneficiario per cercare di capire le sue necessità concrete. Il beneficiario può indicare chi vorrebbe gli fosse nominato come amministratore di sostegno: la moglie, un figlio, un parente, un amico. Dopo qualche giorno, viene comunicata la decisione del giudice, che ammette il beneficiario all’amministrazione di sostegno, che nomina l’amministratore di sostegno stesso, che stabilisce quali siano i suoi poteri, così chiudendo il procedimento che, in genere, dal deposito della domanda al provvedimento finale, dura soltanto pochi mesi.
Tutto il procedimento è gratuito (eventuale compenso dell’avvocato a parte).

Chi può fare l’amministratore di sostegno?
L’incarico viene di norma attribuito al coniuge, ad uno dei figli, ad un nipote, ovvero a quei parenti che già seguono la persona con disabilità; la scelta avviene con esclusivo riguardo alla cura ed agli interessi del beneficiario, cercando di rispettare la volontà di questi.
La stessa persona interessata può indicare, in previsione della propria futura incapacità, con atto pubblico o scrittura privata autenticata, chi vuole come proprio amministratore di sostegno.
Solo nel caso in cui non sussistano parenti prossimi, o vi sia l’opposizione di un parente alla nomina di un altro parente, o comunque i parenti non appaiano in grado di far fronte all’incarico, il giudice tutelare nomina come amministratore di sostegno una persona di sua fiducia.
Di norma, l’incarico non viene attribuito a due persone distinte, ma ad una persona sola.

Cosa deve fare l’amministratore di sostegno?
Una volta ricevuto l’incarico, l’amministratore di sostegno deve accettarlo, prestando giuramento davanti al giudice tutelare; deve poi – se il giudice lo richiede - fare un inventario dei beni del beneficiario, così da evitare in futuro contestazioni da parte di terzi, ovvero di eredi che magari si sono sempre disinteressati del beneficiario e che si presentano solo una volta che questi sia deceduto per rivendicare una loro eredità.
Deve quindi iniziare a svolgere i suoi compiti; per far questo, per far vedere a terzi quali sono i suoi poteri, è opportuno che richieda alla Cancelleria del tribunale alcune copie conformi del decreto di nomina e del verbale di giuramento, da esibire ad esempio alla banca per investire i titoli, oppure all’INPS per riscuotere la pensione.
Periodicamente, di solito una volta all’anno, l’amministratore di sostegno deve poi presentare al giudice tutelare un rendiconto dell’attività svolta, indicando le entrate (ad esempio le pensioni) e le spese (ad esempio, le buste paga della badante, i bollettini dei contributi pagati, le bollette di casa, l’affitto, le spese per il cibo ed il vestiario).
Se sorgono problemi tra l’amministratore ed il beneficiario, l’amministratore deve chiedere al giudice tutelare come comportarsi; deve anche segnalare al giudice tutelare il peggioramento delle condizioni psico-fisiche del beneficiario, ad esempio per il progredire dell’Alzheimer, segnalandogli la necessità che siano ad esempio modificati i suoi poteri.

Quanto dura l’amministrazione di sostegno?
Se l’incarico è a tempo indeterminato, si protrae per tutta la vita del beneficiario, cessando alla data della sua morte.
In questo caso l’amministratore di sostegno deve informare l’INPS o l’INPDAP dell’intervenuto decesso, chiedendo di cessare l’erogazione della pensione e, una volta curate le esequie del beneficiario, deve presentare al giudice tutelare il rendiconto finale.

L’amministrazione di sostegno è concretamente utile od è un peso?
E’ utilissima, senza alcun dubbio!
Sono stati da poco vietati i pagamenti con denaro contante sopra i mille euro; se prima bastava quindi una delega ad una persona di fiducia da parte del disabile che, ad esempio, non può uscire di casa per andare a ritirare la pensione, ora questa delega non permette più al delegato di ritirare la pensione se supera i mille euro al mese; e se non li supera, è facile comunque che ecceda questo limite col rateo di dicembre che contiene anche la tredicesima. Gli uffici postali non possono dunque più pagare in contanti queste pensioni ed occorre che siano accreditate su un libretto o su un conto corrente, bancario o postale che sia. Ma il conto corrente lo può aprire soltanto il pensionato di persona, e purché capace di intendere e di volere. Quindi, se tale capacità non esiste più, occorre che si attivi al proposito un amministratore di sostegno.
Se occorre vendere un immobile per pagare ad esempio l’assistenza diurna e notturna, oppure per evitare di dover pagare alte spese di ristrutturazione condominiali, chi vende deve essere capace di intendere e di volere per cui il notaio non può disporre la vendita se l’interessato non è più in possesso di questa capacità; occorrerà un amministratore di sostegno.
Se, anche in assenza di un qualsiasi patrimonio da gestire, il beneficiario deve essere sottoposto ad un intervento medico ed ai preliminari accertamenti, occorre qualcuno, capace di intendere e di volere, che firmi il consenso informato al medico per fare l’esame o l’intervento, oppure che rifiuti di prestare questo consenso informato perché ad esempio si ritiene l’esame eccessivamente invasivo o doloroso in relazione ai possibili esiti. Ma se chi deve esser sottoposto a questi esami ed interventi non è capace di intendere e di volere, il medico non può farli ugualmente, come non può far firmare alla moglie od ai figli questo consenso: occorre un amministratore di sostegno a ciò appositamente nominato.
In assenza del benché minimo patrimonio da gestire, l’amministrazione di sostegno si presenta opportuna anche per presentare domande assistenziali.

Quando chiedere l’amministrazione di sostegno?
Subito!
Appena si ha conoscenza della malattia, soprattutto se, come l’Alzheimer, ad oggi non è ancora guaribile ed è malattia progressiva.
Perché aspettare che il proprio caro sia completamente incapace di intendere e di volere? Perché aspettare che la pensione venga bloccata per dover aprire un conto corrente, o che il denaro sul conto sia finito per poi esser costretti ad alienare un immobile od a chiedere la pensione di invalidità?
Considerato che per avere l’amministrazione di sostegno occorrono alcuni mesi, si consiglia, non appena viene diagnosticata la malattia, di intraprendere subito l’iter per avere questa figura di sostegno, iter che è ancor più facilitato se a presentare la domanda è lo stesso malato che, mantenendo ancora una certa capacità, chiede al giudice tutelare un aiuto, indicando la persona che vorrebbe gli fosse affiancata come amministratore di sostegno.

Quali possono essere gli strumenti alternativi all’amministrazione di sostegno?
In primo luogo la procura, speciale o generale, o il mandato. Al momento in cui si rilascia la procura o si conferisce il mandato, occorre tuttavia essere pienamente capaci di intendere e di volere. Il mandato, inoltre, si estingue per la sopravvenuta incapacità di intendere e di volere del mandante, a meno che non si tratti di un mandato conferito anche nell’interesse del mandatario o di un terzo (ad esempio, il mandato conferito al responsabile della struttura in cui si è ospitati, per incassare la pensione al fine di pagare la retta di degenza).

Quali sono i rapporti tra l’amministrazione di sostegno e l’interdizione e l’inabilitazione?
Prima che la legge n. 6/2004 disciplinasse l’amministrazione di sostegno, gli unici strumenti per tutelare le persone con disabilità erano l’interdizione e l’inabilitazione (salva la possibilità di annullare gli atti posti in essere da una persona che per una qualsiasi causa, anche transitoria, era incapace di intendere e di volere al momento in cui li pose in essere) e miravano, più che a tutelare la persona, a conservarne il patrimonio.
Doveva essere interdetta la persona che si trovava in una condizione di abituale infermità di mente tale da renderla incapace di provvedere ai propri interessi.
A seguito dell’interdizione, la persona veniva privata della totale capacità di agire per cui non poteva più porre in essere alcun atto, sia di ordinaria che di straordinaria amministrazione, che competevano esclusivamente al tutore.
Doveva essere inabilitata la persona che si trovava in una condizione di abituale infermità mentale non così grave da comportarne l’interdizione, la persona che, per prodigalità o per abuso abituale di bevande alcooliche o di stupefacenti, esponeva sé o la famiglia a gravi pregiudizi economici, la persona sorda o cieca dalla nascita o dalla prima infanzia che, non avendo ricevuto un'educazione sufficiente, non era capace di provvedere ai propri interessi.
A seguito dell’inabilitazione, la persona, con l’assistenza di un curatore, poteva riscuotere capitali e stare in giudizio; per gli atti di straordinaria amministrazione, oltre al consenso del curatore, occorreva l’autorizzazione del giudice tutelare.
Di fatto, l’inabilitazione non comportava una tutela effettiva della persona, posto che questa, per tutti gli atti di ordinaria amministrazione diversi dalla riscossione di capitali e dallo stare in giudizio, era abbandonata a se stessa.
L’interdizione comportava invece il totale annullamento della persona, la sua esclusione sociale, lo stigma, l’onta familiare.
Sia l’interdizione che l’inabilitazione venivano pronunciate dal tribunale con sentenza, al termine di un lungo e costoso iter processuale; anche le eventuali autorizzazioni per gli atti di straordinaria amministrazione giungevano al termine di un lungo iter processuale, spesse volte quando, ad esempio, la necessità di alienare l’immobile era venuta meno per il sopravvenuto decesso dell’interessato, od erano già ampiamente scaduti i termini dati dal proponente acquirente per addivenire alla stipula.
La L. 6/2004 ha radicalmente modificato i due istituti, nel senso che ora "possono", e non più "devono" essere interdette le persone che si trovano in una condizione di abituale infermità di mente che li rende incapaci di provvedere ai propri interessi, e solo "quando ciò è necessario per assicurare la loro adeguata protezione"; analogamente, si può, e non più si deve, ricorrere all’inabilitazione.
Quando allora, sussistendo una infermità di mente, ricorrere all’interdizione (od all’inabilitazione) piuttosto che all’amministrazione di sostegno?
L’ambito di applicazione dell’amministrazione di sostegno va individuato con riguardo non già al diverso, e meno intenso, grado di infermità o di impossibilità di attendere ai propri interessi del soggetto carente di autonomia, non già alla disponibilità od alla capacità del disabile a collaborare con l’amministratore di sostegno, non già alla volontà del disabile di essere soggetto a questa forma di assistenza, ma piuttosto alla maggiore capacità di tale strumento di adeguarsi alle esigenze di della persona affetta da  disabilità, in relazione alla sua flessibilità ed alla maggiore agilità della relativa procedura applicativa. L’interdizione, e l’inabilitazione, mantengono in sostanza un carattere meramente residuale, dovendo applicarsi le stesse – afferma la Corte di Cassazione e la Corte Costituzionale, solo quando ciò appaia lo strumento ultimo e necessario per assicurare un’adeguata protezione.
Considerando, tuttavia, che il giudice tutelare può in ogni momento modificare i poteri dell’amministratore di sostegno, e che può attribuirgli gli stessi poteri del tutore, ne consegue che, di fatto, l’interdizione e l’inabilitazione non devono più trovare alcuno spazio ed alcun riconoscimento. Anche in considerazione del fatto che questi due istituti, oramai vecchi dinosauri sulla via dell’estinzione, residui di un passato incurante dei diritti delle persone con disabilità, ben difficilmente potrebbero ora reggere una valutazione di legittimità costituzionale alla luce dei principi fondamentali della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità del 13.12.2006, ratificata dall’Italia con la L. 18 del 3 marzo 2009.


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